79ª Assemblea delle Nazioni Unite: il patto del futuro come punto di ri-partenza?, Beatrice Bonardi e Elisa Bilancia
In un contesto internazionale segnato dall’incertezza del futuro e da un presente inquietante, la 79ª sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU si propone come un punto di svolta cruciale per la cooperazione globale. Il “Summit of the Future 2024”, tenutosi il 22 e 23 settembre a New York, mira a reindirizzare gli sforzi internazionali verso la costruzione di un futuro sostenibile. L’accento è posto sulla necessità di stabilizzare il contesto internazionale attraverso l’adozione di patti e dichiarazioni strategiche. Questo ha portato alla firma del “Pact of the Future”, un’ assunzione di impegni su clima e sviluppo sostenibile, disarmo, lotta alla povertà, diritti umani e governance digitale. Il patto prevede anche di dare priorità al dialogo e ai negoziati, accelerare la transizione ecologica e i cambiamenti nel sistema finanziario internazionale, includere i giovani nei processi decisionali, riformare in senso più rappresentativo il Consiglio di Sicurezza, dominato da cinque paesi con diritto di veto (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito). E’ proprio questo il punto dolente che sta mandando in pezzi il multilateralismo: come denunciato all’organizzazione Oxfam, “una manciata di nazioni potenti che rappresentano solo il 25% della popolazione mondiale, ma detengono il pulsante nucleare, hanno troppo spesso manipolato il sistema globale di pace e sicurezza per soddisfare i loro interessi geopolitici ed economici”. Russia, Stati Uniti e Cina da soli hanno posto la totalità dei veti al consiglio di Sicurezza nell’ultimo decennio, creando una situazione di stallo permanente e destinando all’irrilevanza gli organismi internazionali sulle crisi in atto (dall’Ucraina, al Medio Oriente all’Africa, dalle crisi del debito che affliggono i paesi in via di sviluppo e che sono all’origine di grandi ondate migratorie, dalla fame ai cambiamenti climatici). Il Summit e le parole del Segretario Generale dell’ONU, fortemente orientate al futuro, contrastano con una realtà presente che continua a sgretolarsi incessantemente. Guterres indica tre fattori principali di insostenibilità nelle crisi mondiali: “Un mondo di impunità, dove violazioni e abusi minacciano le fondamenta stesse del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Un mondo di disuguaglianza dove le ingiustizie e le rimostranze minacciano di indebolire i paesi o addirittura di spingerli oltre il limite. E un mondo di incertezza, dove i rischi globali non gestiti minacciano il nostro futuro in modi inconoscibili. Questi mondi di impunità, disuguaglianza e incertezza sono collegati…”. Le istituzioni finanziarie di Bretton Woods non rappresentano più una rete di sicurezza globale, né riescono ad offrire ai paesi in via di sviluppo il livello di sostegno di cui hanno bisogno, in quanto il pagamento degli interessi sul debito nei paesi più poveri del mondo costa ormai più degli investimenti in istruzione, sanità e infrastrutture messi insieme. Serve, infine, un aumento dei finanziamenti da parte dei paesi del G20 per l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi, visto che in tutto il mondo, oltre l’80% degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile non è stato rispettato. L’impostazione di fondo del Patto, tuttavia, non convince, in quanto vengono riproposte le solite ricette della crescita economica e del mercato, il rilancio della finanza privata e del settore privato. La necessità di influenzare i leader mondiali verso una maggiore cooperazione e il cambio di passo della politica rimangono la vera sfida in questo presente incerto.
Medio Oriente: un’escalation senza fine, Samuele Tornatore
A un anno dall’attacco del 7 ottobre, in Medio Oriente non si è ancora riusciti a trovare una soluzione che non implichi ulteriore morte e distruzione. Nonostante gli appelli alla pace e le condanne della Corte Penale Internazionale, la situazione attorno a Israele sembra avviata verso un’escalation inarrestabile, coinvolgendo anche altri Stati sovrani come Libano, Yemen e Iran. Dallo sviluppo degli eventi emerge chiaramente la volontà di entrambe le parti di non deporre le armi, bensì di proseguire con operazioni militari sempre più su larga scala, ampiamente sostenute dalle rispettive popolazioni. Il Presidente israeliano Netanyahu, sebbene abbia affrontato una lunga crisi all’interno del suo elettorato (dovuta alla gestione inefficace della questione relativa alla liberazione degli ostaggi), ha ottenuto pieno sostegno da parte della popolazione e dell’esercito dopo l’attacco di Hezbollah. Dall’altro lato, la prolungata oppressione del popolo di Gaza ha provocato una reazione nell’intero mondo arabo-islamico, con l’Iran in prima linea, impegnato in una sorta di guerra indiretta contro Israele tramite gruppi armati come Hezbollah e gli Houthi.
Tutto questo ha portato a una polarizzazione anche a livello internazionale. Tra i Paesi occidentali, la maggior parte dei leader sostiene le operazioni repressive di Israele, richiamando, nei casi meno espliciti, il suo “diritto a difendersi”, dimenticando però le innumerevoli barbarie perpetrate da Israele contro il popolo palestinese negli ultimi anni, specialmente durante l’ultima fase del conflitto. Sebbene molti leader facciano appello a una de-escalation e dichiarino che una guerra su larga scala non giovi a nessuno, di fatto nessuno sta realmente agendo in modo diplomatico per arrivare a un cessate il fuoco. Anche all’interno dei singoli Paesi, a cominciare dal nostro, il dibattito si sta polarizzando, con divisioni tra chi sostiene la causa palestinese e chi quella israeliana, dando luogo a episodi di violenza che non fanno altro che inasprire ulteriormente una situazione già molto delicata. Come Attivanza, riteniamo che questa situazione avvantaggi solo poche entità, come le lobby internazionali delle armi, mentre le popolazioni più povere ed emarginate ne pagano il prezzo. Pensiamo sia fondamentale ripristinare l’efficacia delle organizzazioni internazionali e il rispetto delle leggi e del diritto internazionale, auspicando una rapida de-escalation e un ritorno al dialogo, che possa portare a una stabilità duratura.